La confessione è un sacramento, non è una psicoterapia.

Mi incuriosisce il ritorno a quello che fu uno dei principali motivi che portarono in conflitto la Psicologia con la Teologia. La psicoterapia, la “cura dell’anima”, nuovamente ricercata nella figura del confessore. In un articolo de Il Secolo XIX di Savona si legge: “Cresce il numero delle confessioni nel savonese, ma, invece che sull’inginocchiatoio, il fedele pensa di essere sul lettino dello psichiatra. A dirlo sono gli stessi sacerdoti delle parrocchie diocesane che, più dell’assoluzione, sono chiamati a dare un sostegno umano, a prestare un orecchio all’ascolto del fedele che si sente sempre più solo e bisognoso di parlare. Ma sono gli stessi parroci a lanciare un appello: «Attenzione, la confessione è un sacramento e non va confuso con il colloquio col sacerdote». Intanto, però, i savonesi, dopo una lunga crisi in cui i confessionali erano vuoti, tornano a cercare nelle chiese i preti con un aumento del 15, anche del 20% nell’ultimo anno, mentre crescono in modo esponenziale, addirittura del 40/50%, i savonesi che partono per confessarsi nei santuari mariani più celebri. Le cause di questo vero e proprio boom sono tante, ma quanto ci sia di realmente spirituale è tutto da capire. «Capita spesso che qui arrivino pellegrinaggi venuti appositamente per la confessione – spiega don Domenico Venturetti, rettore del Santuario mariano di Savona, dedicato a N.S. di Misericordia- prima di celebrare il sacramento cerco di spiegare alla persona che la confessione è una cosa ben precisa, dove si rimettono i propri peccati con la volontà di cambiare, di dare una svolta alla propria vita. Nella maggior parte dei casi, però, non vengo nemmeno ascoltato e la persona mi inizia a parlare dei propri problemi». Nessun cenno all’assunzione di responsabilità manifestando il desiderio di cambiare rotta. «Le persone -dice don Venturetti- non si sentono più in colpa. Sono abituate a scaricare le responsabilità sugli altri, per cui la confessione si risolve nello snocciolare le proprie angosce, i pensieri opprimenti, anche la rabbia verso chi si ritiene responsabile del proprio stato, mogli, genitori, datori di lavoro. Manca del tutto il lavoro su se stessi e, quindi, anche il desiderio di redenzione». I confessionali, quindi, tornano a essere popolati, ma si trasformano in surrogati degli psicologi i cui studi, per la crisi e per le alte tariffe, al contrario si svuotano. Non si parla più di colpe, tradimenti, mancanze di qualunque tipo. «Un errore nostro – dice don Venturetti – potrebbe essere stato quello di praticare il sacramento non più nel confessionale, ma nei diversi luoghi della chiesa: in sacrestia, sulle panche, sulle seggiole. Forse la posizione genuflessa e il non vedere in viso il sacerdote incrementavano il senso di una confessione rivolta a Dio. Ma, certo, la nuova tendenza non può essere imputata solo a questo fatto». A ribadirlo è anche don Agostino Paganessi, oggi parroco di Luceto, per anni ai Salesiani di Savona. «I savonesi che si vengono a confessare sono aumentati moltissimo – dice – ma si tratta più che altro della ricerca di un ascolto. Nella maggior parte dei casi emerge una crisi personale, uno smarrimento e la disperata ricerca di un punto di riferimento. Ma non sono vere confessioni». E la conclusione. «È inutile esagerare se manca la voglia di voltare pagina – conclude- bisogna tenere a mente una cosa: Sant’Agostino non si è mai confessato».” (S. Campese in Il Secolo XIX – Savona 30.05.2013)

Giovanni Paolo II, nel 2001, era stato chiaro. Nel discorso ai Membri della Sacra Penitenzieria Apostolica del 31 marzo affermava: ”Il grande afflusso dei fedeli alla Confessione durante il Giubileo ha mostrato come tale tema sia sempre attuale[…]“. La stessa formula dell’ assoluzione sacramentale con le parole “Dio… ti conceda il perdono e la pace” dimostra che “il penitente aspira alla pace interiore, e legittimamente desidera anche quella psicologica”. Tuttavia, continua il Papa, “non bisogna confondere il sacramento della riconciliazione con una tecnica psicoterapeutica. Pratiche psicologiche non possono surrogare il sacramento della penitenza, nè tanto meno essere imposte in suo luogo”.

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